Si può imparare ad essere “Sfacciati”?

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Quando parliamo di adolescenza e educazione, un obiettivo pedagogico importante da perseguire può essere quello di lavorare sul sentimento di vergogna che molto spesso pervade i giovani.

La vergogna e l’imbarazzo sono modulatori del comportamento tra i più difficili da dosare e, sia nella direzione dell’eccesso che della mancanza, possono provocare più o meno significative difficoltà.

La vergogna ad esprimere la propria opinione o a porre una domanda, impedisce spesso ai ragazzi e alle ragazze di confrontarsi, di sbagliare e quindi di trasformare i propri errori in utili punti d’appoggio per cambiare e crescere.

La pressione del gruppo, la paura del giudizio dei pari o dell’insegnante può inibire il pensiero e la capacità dialogica.

Meglio stare zitto, non esporsi, non mettersi in gioco e pian piano provare a svanire nello sfondo, sperando magari di rendersi invisibili.

Così facendo si potrebbe perdere interesse per il mondo esterno, frenando la propria curiosità, elemento spesso alimentato dalla capacità di mettersi in gioco e motore dei processi di conoscenza.  

È questo che abbiamo proposto ad una classe di una Scuola di Formazione Professionale del III municipio di Roma.

Cinque incontri di tre ore condotti da una psicoterapeuta e regista, Rosa Martino, che ha proposto di lavorare con i ragazzi su queste tematiche attraverso l’uso dell’improvvisazione teatrale, dei giochi di gruppo e un’attenzione alle proprie tensioni corporee al fine di accrescere la consapevolezza del proprio stato emozionale e provare ad esprimersi a partire da quello che c’è.

Durante questi incontri, come navigando un mare, abbiamo attraversato tempeste, burrasche, momenti di calma e bonaccia. Abbiamo aperto uno spazio dove si potessero esprimere e vivere, attraverso la costruzione di scene teatrali, emozioni di paura, disprezzo e rabbia. Abbiamo accolto provocazioni e goduto di pochi silenzi, silenzi comunque densi di contatto invece che di ritiro.

La vergogna era tanta e siamo riuscite a starci e ad arginarla lavorando con piccoli gruppi per poterci concentrare su ognuno dei ragazzi per poi tornare nel grande gruppo con più forza e sicurezza.

Come sempre, il processo di cambiamento che si innesca, inevitabilmente e malgrado tutto, avviene per entrambi, per i ragazzi e le ragazze e per chi conduce il laboratorio.

Ne escono i conduttori più temprati e i giovani forse più sfacciati e capaci di prendere parola nel caos che li avvolge e spesso li opprime.

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